Ok. Sono pronta! La tanto
richiesta relazione sull’abisso del purgatorio sta arrivando.
Tocca a me ancora una volta
raccontare di questo meraviglioso abisso dal nome tanto suggestivo, che come l’anno
precedente mi ha riservato una piccola sorpresa. Che il purgatorio mi voglia
far espiare qualche peccato? Chi lo sa.
E allora bando alle ciance,
pronti per la lettura? Si comincia!
Come l’anno scorso le Taddarite
sono partite piene di energia ed entusiasmo, e soprattutto munite di buone
intenzioni per affrontare l’avventura. Il piano prevedeva: dormire lì la sera
prima per essere carichi e in forza l’indomani, calarci in grotta in mattinata
ed essere fuori nel pomeriggio ad un orario che ci consentisse di finire la
giornata con un bel tuffo a mare. Lo definirei un progetto utopistico, perché
le cose non sono andate esattamente così.
Sabato pomeriggio si parte e
dopo varie tappe lungo la strada, supermercato e bar, il primo gruppo composto
da me, Angelo, Filippo, Tony, Manuela e Cosimo, arriva sulla spiaggia di Makari
appena in tempo per godere degli ultimi raggi di un sole che ormai volgeva al
tramonto. E allietati dalla piacevole aria fresca e frizzantina, ci concediamo
un piacevole aperitivo, composto da qualche bicchiere di buon vino, che il
nostro caro Filippo non ci fa mai mancare e dal pane con salame e formaggio,
che Angelo, previdente si è preoccupato di comprare.
La serata trascorre
tranquilla, ma non troppo. Tony e le sue casse da discoteca, impiantate nella
sua macchina, ci permettono di dare sfogo all’euforia che ormai si era fatta
padrona di noi, tanto che nei momenti di silenzio in cui la musica si
interrompeva continuavamo a ballare a ritmo di note fantasma che risuonavano
nelle nostre menti e nei nostri cuori. E dopo qualche foto alle stelle, prove
di equilibrio e di acrobazia, concluse con la mia faccia spiaccicata a terra,
poco per volta crolliamo stanchi nelle tende.
L’indomani, energia e
vitalità non sono esattamente le parole che potevano definirci, ma di certo le Taddarite
non si danno per vinte e fingono di essere pronti per il Purgatorio.
Dopo esserci riuniti alle
altre Taddarite, Bianca, Laura e Pietro, vestiti e imbracati, ci mettiamo in
cammino verso la grotta. Il nostro capoguida, Angelo, non sembra però
ricordarsi esattamente dove si trova l’entrata e dopo qualche giro in tondo
arriviamo finalmente all’imbocco.
Pietro è il primo ad entrare
per armare la grotta. Dopo essere scesi nel primo pozzo, in attesa di
proseguire, Angelo ha la brillante idea di insegnare a Filippo come fare un
soccorso su corda. Guarda caso proprio io sono designata per fare la vittima.
E’ proprio in questa occasione che al momento di salire sulla corda ci
accorgiamo che c’era qualcosa di strano nel mio imbraco. La maniglia mancava di
quell’elemento fondamentale che serve per salire: la staffa. Ed eccoci di nuovo
qui! Per la seconda volta il Purgatorio mi riservava una piccola sorpresa.
Come, quando e dove sia scomparsa non lo saprò mai. Ma niente paura, nulla che
non si potesse risolvere, è bastato un altro cordoncino e qualche nodo, ed ecco
formarsi una staffa nuova di zecca.
La grotta si presenta
maestosa come sempre, con le sue particolari conformazioni, con gli ambienti
grandi, e infiniti. Ci si stupisce sempre di ritrovare al fondo del secondo
pozzo quel fatiscente relitto, la Vespa, che io, ancora presa dai postumi
dell’alcol, non ho totalmente notato.
E poi si va giù per l’ultimo
pozzo, dove ci attende quella medusa gigante simile all’organo delle chiese,
che al nostro passaggio risuona in modi diversi.
Arrivati al fondo un po’
stanchi e affamati, assaltiamo il cibo e le bevande, e ci prepariamo
psicologicamente alla risalita che di lì a poco avremmo affrontato, una
risalita che per Cosimo, è stata decisamente sofferta. Nell’attesa ci
dedichiamo a un meritato riposo e al servizio bagno, quest’ultimo tanto atteso
da Manuela, che ancora prima di partire dalle macchine nutriva il sentore di
una vescica sull’orlo di scoppiare, ma la costante convinzione che il sudore le
avrebbe eliminato quei liquidi in eccesso, la condussero a calarsi con un
piccolo peso al basso ventre.
Le sorprese non finiscono
qui e l’uscita in grotta per me e Bianca ha significato disarmare per la prima
volta qualche frazionamento, sotto la costante supervisione di Angelo che
dall’alto ci istruiva sul da farsi. Invece a Filippo è toccato disarmare
l’infinito secondo pozzo.
Alla fine, ognuno con i
nostri tempi ce l’abbiamo fatta, e noi quattro, ultimi superstiti, ci
ritroviamo fuori dalla grotta alle 9 e mezza di sera, mentre tutti gli altri ci
aspettavano alle macchine.
Direi proprio che l’idea
iniziale di andare a mare se ne è andata a farsi friggere. Chissà se il
prossimo anno riusciremo in questo intento.
Alla prossima avventura.
Chiara.
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"Le Taddarite"