lunedì 9 luglio 2018

DISCESA AGLI INFERI (o degli infermi) 2.0



Ok. Sono pronta! La tanto richiesta relazione sull’abisso del purgatorio sta arrivando.
Tocca a me ancora una volta raccontare di questo meraviglioso abisso dal nome tanto suggestivo, che come l’anno precedente mi ha riservato una piccola sorpresa. Che il purgatorio mi voglia far espiare qualche peccato? Chi lo sa.
E allora bando alle ciance, pronti per la lettura? Si comincia!

Come l’anno scorso le Taddarite sono partite piene di energia ed entusiasmo, e soprattutto munite di buone intenzioni per affrontare l’avventura. Il piano prevedeva: dormire lì la sera prima per essere carichi e in forza l’indomani, calarci in grotta in mattinata ed essere fuori nel pomeriggio ad un orario che ci consentisse di finire la giornata con un bel tuffo a mare. Lo definirei un progetto utopistico, perché le cose non sono andate esattamente così.
Sabato pomeriggio si parte e dopo varie tappe lungo la strada, supermercato e bar, il primo gruppo composto da me, Angelo, Filippo, Tony, Manuela e Cosimo, arriva sulla spiaggia di Makari appena in tempo per godere degli ultimi raggi di un sole che ormai volgeva al tramonto. E allietati dalla piacevole aria fresca e frizzantina, ci concediamo un piacevole aperitivo, composto da qualche bicchiere di buon vino, che il nostro caro Filippo non ci fa mai mancare e dal pane con salame e formaggio, che Angelo, previdente si è preoccupato di comprare.
La serata trascorre tranquilla, ma non troppo. Tony e le sue casse da discoteca, impiantate nella sua macchina, ci permettono di dare sfogo all’euforia che ormai si era fatta padrona di noi, tanto che nei momenti di silenzio in cui la musica si interrompeva continuavamo a ballare a ritmo di note fantasma che risuonavano nelle nostre menti e nei nostri cuori. E dopo qualche foto alle stelle, prove di equilibrio e di acrobazia, concluse con la mia faccia spiaccicata a terra, poco per volta crolliamo stanchi nelle tende.
L’indomani, energia e vitalità non sono esattamente le parole che potevano definirci, ma di certo le Taddarite non si danno per vinte e fingono di essere pronti per il Purgatorio.
Dopo esserci riuniti alle altre Taddarite, Bianca, Laura e Pietro, vestiti e imbracati, ci mettiamo in cammino verso la grotta. Il nostro capoguida, Angelo, non sembra però ricordarsi esattamente dove si trova l’entrata e dopo qualche giro in tondo arriviamo finalmente all’imbocco.
Pietro è il primo ad entrare per armare la grotta. Dopo essere scesi nel primo pozzo, in attesa di proseguire, Angelo ha la brillante idea di insegnare a Filippo come fare un soccorso su corda. Guarda caso proprio io sono designata per fare la vittima. E’ proprio in questa occasione che al momento di salire sulla corda ci accorgiamo che c’era qualcosa di strano nel mio imbraco. La maniglia mancava di quell’elemento fondamentale che serve per salire: la staffa. Ed eccoci di nuovo qui! Per la seconda volta il Purgatorio mi riservava una piccola sorpresa. Come, quando e dove sia scomparsa non lo saprò mai. Ma niente paura, nulla che non si potesse risolvere, è bastato un altro cordoncino e qualche nodo, ed ecco formarsi una staffa nuova di zecca.
La grotta si presenta maestosa come sempre, con le sue particolari conformazioni, con gli ambienti grandi, e infiniti. Ci si stupisce sempre di ritrovare al fondo del secondo pozzo quel fatiscente relitto, la Vespa, che io, ancora presa dai postumi dell’alcol, non ho totalmente notato.
E poi si va giù per l’ultimo pozzo, dove ci attende quella medusa gigante simile all’organo delle chiese, che al nostro passaggio risuona in modi diversi.
Arrivati al fondo un po’ stanchi e affamati, assaltiamo il cibo e le bevande, e ci prepariamo psicologicamente alla risalita che di lì a poco avremmo affrontato, una risalita che per Cosimo, è stata decisamente sofferta. Nell’attesa ci dedichiamo a un meritato riposo e al servizio bagno, quest’ultimo tanto atteso da Manuela, che ancora prima di partire dalle macchine nutriva il sentore di una vescica sull’orlo di scoppiare, ma la costante convinzione che il sudore le avrebbe eliminato quei liquidi in eccesso, la condussero a calarsi con un piccolo peso al basso ventre.
Le sorprese non finiscono qui e l’uscita in grotta per me e Bianca ha significato disarmare per la prima volta qualche frazionamento, sotto la costante supervisione di Angelo che dall’alto ci istruiva sul da farsi. Invece a Filippo è toccato disarmare l’infinito secondo pozzo.
Alla fine, ognuno con i nostri tempi ce l’abbiamo fatta, e noi quattro, ultimi superstiti, ci ritroviamo fuori dalla grotta alle 9 e mezza di sera, mentre tutti gli altri ci aspettavano alle macchine.
Direi proprio che l’idea iniziale di andare a mare se ne è andata a farsi friggere. Chissà se il prossimo anno riusciremo in questo intento.
Alla prossima avventura.
Chiara.

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"Le Taddarite"