martedì 29 ottobre 2013

Monte Conca 26.10.13 - il ritorno nel fango.


Ci siamo. Finalmente torno in grotta dopo quasi un anno di stop, l'entusiasmo inizia a farsi vivo già qualche giorno prima (lo sa bene Mr V. che da martedì riceve i miei messaggi di buongiorno col conto alla rovescia e tante faccine felici). Passo a prendere Marco e ci vediamo in via Basile con Nina, Lombrellone, Marili e Filippo.
Dopo essere arrivati sul posto superando indenni gli infidi autovelox grazie alle direttive di Mr V., ci vestiamo e ci dirigiamo all'ingresso di Monte Conca. Caldo in superficie, sotto non sarà così. Immancabili i ricordi del campo di due anni prima...
Ingresso, odore di grotta. Beh, odore di marcio in realtà, ma niente potrebbe guastare questo momento, il passaggio dalla luce alla penombra e poi al buio, con delle ranocchie che saltellano nelle pozze in entrata; chissà quante di loro finiranno al fondo senza la possibilità di uscire.. Lombrellone e Filippo vanno avanti ad armare, Marco si circonda come al solito di belle donzelle che lo aiuteranno a fare foto. Non ricordavo tutto questo scroscio d'acqua già all'attacco del primo pozzo, speriamo bene! Giù per il primo pozzo, immagino che la giornata sarà lunga e che sarà una gioia alla fine arrivare alla sua base; facciamo qualche foto e ho il tempo di osservare per la seconda volta queste cavità immense e spettacolari: sì, sono proprio contenta di esserci tornata! Giungiamo all'attacco del secondo pozzo, scendiamo senza soste fino al terzo; durante il tragitto mi sforzo di ricordare come fare a non bagnarmi nei “laghetti” che si incontrano, la giornata è lunga e voglio restare asciutta per più tempo possibile. Siccome la memoria non mi aiuta, procedo per tentativi fino ad arrivare al bidet, ancora asciutta. Pure qua c'era qualcosa da fare – o da non fare – ma ovviamente Mr V. non mi suggerisce nulla e anzi mi guarda in modo sadico e divertito (saranno queste le occhiate che mi rivolgerà durante tutta la giornata, insieme a frasi sibilline). Ci provo e mentre avanzo mi ricordo di non scendere troppo sulla corda e i movimenti da fare per non finire a mollo. Continuo fino al terrazzino e lì resto un bel po' a reggere il faretto (che più volte mi sono direzionata negli occhi) per le foto. Ho il tempo per guardarmi intorno, per vedere sotto di me le luci lontanissime di Filippo e Lombrellone che si muovono in una ambiente enorme, osservare le pareti del pozzo e quelle che mi sono lasciata dietro dove Nina sta posando e i rigagnoli di acqua che scendono... Ogni tanto vengo riportata alla realtà da una voce che cerca di sopraffare il rumore dell'acqua urlando “il faro verso l'alto”, “dietro di te”, “verso Nina ma da dietro lo sperone con un'inclinazione di 27,8°”.
Marco mi supera e va giù, dove fa qualche foto ai ragazzi anche approfittando delle luci che portiamo noi mentre scendiamo. Durante la discesa mi accompagna una pioggerellina incessante, che sarà quella che ci ridurrà bagnati fradici, dato che rimaniamo alla base del terzo pozzo per un periodo abbastanza lungo sia per far foto sia per ricompattare il gruppo. Inizio a sentire freddo, e le goccioline che dal casco si infilano dentro la tuta sono fastidiosissime. Proseguiamo per un piccolo tratto tra massi scivolosi fino all'imbocco del quarto pozzo; al passaggio vedo la corda che sale e che porta ai rami nuovi, ci passeremo al ritorno dal fondo. Lunghissimo e bellissimo quarto pozzo, facciamo foto anche qua e andiamo avanti; zuppa di acqua, al momento il movimento è l'unica cosa che dà sollievo, non mi sto godendo per niente questa sala immensa. Marili, Lombrellone e Filippo continuano verso il fondo dove “potrebbero esserci le anguille”, avverte Marco una frazione di secondo prima che possa dirlo io. Ho un vago ricordo della parte in cui stanno andando loro ma, non avendo dimenticato l'odore nauseabondo che aleggia di là, resto ad aspettare con Mr V. e Nina il loro ritorno (Marili infatti si lamenterà della puzza che c'era) facendo qualche foto.
Ci rifocilliamo velocemente e risaliamo il quarto pozzo. Vedo allontanare il laghetto sotto di me, pedalata dopo pedalata, chissà quando ci tornerò di nuovo.
Sono su, meno uno. E mi sono anche riscaldata. A questo punto procediamo per i rami nuovi: dopo una risalita su corda di qualche metro, si avanza strisciando per un piccolo tratto di “sabbia” asciutta che ci permette di impanarci per bene, dato che siamo bagnati; invece di prendere la strettoia della tana del Bianconiglio (“evvai”, penso: la risalita di quella strettoia malefica due anni fa era stata stancantissima) ci infiliamo nella parete opposta. Il mio giubilo dura poco però: in questa parte di grotta, in alcuni tratti angusta, resteremo un paio d'ore, il tempo necessario per esaurire quasi del tutto le mie energie. Non si può procedere in posizione eretta; inizialmente evito di poggiare le ginocchia a terra ma ci riesco per poco, i miei quadricipiti ad un certo punto non mi assistono più e “devo” gattonare. Durante il percorso, mentre aspettiamo gli altri, Mr V. mi invita a salire su per un buco fangoso, orizzontale e secondo me con appigli inesistenti in cui, l'unico modo che trovo per procedere (“Marco, come faccio?” “Ah, boh!”) è fare opposizione con la schiena da un lato e le gambe dall'altro (il suggerimento di Marco arriva dopo che avevo trovato il modo per salire, ovviamente). Fatica assicurata. Striscio un po' lì dentro ma mi rifiuto di oltrepassare una finestrella in cui dovrei “buttarmi” di testa, Nina invece mette in pratica le sue doti topesche e va a fare un giro oltre l'apertura (anche se dimentica il personalino e deve andare a recuperarlo poco dopo). Per scendere dal posto in cui ero salita con difficoltà arrivano gli aiuti di Mr V. su dove posizionare un piede che non riuscivo a mettere da nessuna parte: è l'unica volta in cui è stato mosso a compassione da una mia richiesta di soccorso. Abbiamo perso Marili e Lombrellone prova a trovarla (non torneranno perché per un fraintendimento lei è salita verso l'uscita piuttosto che per i rami nuovi). Qua il rumore di acqua non si sente, restare ad ascoltare il silenzio assoluto nel buio assoluto mentre aspettiamo di vedere se Antonio torna oppure no è una piacevole sensazione che in nessun altro posto, se non in grotta, si può provare. Nessuna notizia, quindi riprendiamo la passeggiata tra cunicoli in alto, in basso, di lato; strisciando tra il fango, arrampicandosi tra pareti fangose e scivolose, camminando – quando la posizione eretta è consentita – su vere e proprie sabbie mobili che risucchiano gli stivali e richiedono il triplo dello sforzo per avanzare e disincagliare contemporaneamente le scarpe. Filippo esprime un pensiero che condivido in pieno: è più stancante camminare sul fango che sulla neve. Verissimo! Facciamo foto anche qua, e sapere che questa parte di grotta è stata visitata da pochissima gente la rende ancora più affascinante. La roccia in alcune pareti crea degli effetti bellissimi che meritano di essere visti, anche se ciò comporta degli sforzi titanici.
Dopo un paio d'ore di “visite guidate”, foto e inviti di Marco all’esplorazione (“infilati là dentro e dimmi cosa c’è”) cerchiamo di riconquistare la superficie, facendo il percorso all'inverso in cui la stanchezza e le arrampicate in salita – sempre su fango scivoloso – lo rendono lungo e sfiancante. Rimprovero tra me e me – ma anche ad alta voce - Simone di non avermi portato abbastanza ad arrampicare, maledetto lui! Al ritorno in un laminatoio ho l'impressione di non farcela proprio, le gambe mi hanno salutato già in una delle ultime piccole arrampicate fangose (santo Filippo che mi ha aiutato porgendomi la schiena da sotto in quel caso, mentre Marco guardava da qualche metro di distanza i miei sforzi veramente inconcludenti e poco coordinati) e faccio i pochi metri del laminatoio tirandomi solo con le braccia. Per fortuna i frazionamenti dei pozzi sono semplici e non mi servirà poi tanto avere delle braccia riposate. Arriviamo alla piccola discesa che ci riporterà sui pozzi e quindi verso l’uscita. Tra tre pozzi.
E' il momento di montare il discensore. Già, ma qual è? Ho due ammassi fangosi ai lati dell'imbrago, a intuito ne prendo uno e inizio a pulirlo con le mani: è lui! Mentre lo monto sulla corda (ci vuole un po’, devo togliere il fango che si è infilato dovunque), Mr V. accanto a me mi ricorda la frase che ha ripetuto più volte durante la giornata: ci si riposa risalendo i pozzi. So che è vero, e che risalire sarà comunque una impresa titanica. Dopo essere scesa, lavo un po' gli attrezzi in una pozza, quindi mi incammino verso la base del terzo pozzo. Gambe stanche. Guardo in alto: cavolo, non vedo proprio dov'è l'attacco! Pedalata su pedalata, inizio a risalire ma le gambe proprio non ne vogliono sapere, quindi mi aiuto anche con le braccia. “Piove”, pure. Non ho molte alternative, penso che mi posso riposare sopra e che devo liberare la corda, quindi evito di fare pause e arrivo all’attacco; miracolosamente la stanchezza nelle gambe è passata (o sono talmente distrutta da non sentirla più). Meno due.
Altra sciacquata agli attrezzi, forse producono fango da soli… La risalita del secondo pozzo procede liscia e tranquilla, ogni tanto parlo con la maniglia e il croll infangati che non collaborano benissimo e che rendono qualche pedalata infruttuosa. Per qualche minuto non ricordo a che punto della risalita mi trovi, ho la piacevole sensazione di essere arrivata all’uscita; poi vedo che l’attacco del pozzo – il secondo – non è quello in cui 2 anni fa Simone ha effettuato la pesca del Ponzio-spada; ce n’è ancora un altro allora. Non vedo l’ora di uscire, ho l’impressione che i miei muscoli si possano rifiutare di collaborare da un momento all’altro; e questa è la parte più “soft”, è proprio vero che ci si riposa risalendo i pozzi!

Meno uno. Filippo dietro di me è ancora lontano, ne approfitto per fermarmi qualche minuto e dare un po’ di respiro alle gambe prima di fare le ultime pedalate. Ricomincio a salire, nonostante sia quasi arrivata, l’attacco mi sembra lontanissimo. Mi guardo intorno, mentre parlo con il croll e cerco di fare dei movimenti quanto più produttivi. Arrivo all’attacco, stranamente riesco a salire sul terrazzino al primo tentativo e mi metto seduta ad aspettare Filippo. Guardo giù la grotta che ho lasciato sotto di me. Ma quanto è magico questo posto?! Svuoto meglio gli stivali che si sono riempiti d’acqua in uno dei laghetti prima della risalita del secondo pozzo (errore di valutazione sulla profondità di quello che stavo attraversando), appena arriva Filippo e si riprende un po’ andiamo verso l’esterno. Buio. E io che credevo che non fossero passate le 18! Un cielo stellato bellissimo, lontano dalle luci urbane, saluta la nostra uscita, insieme ad una temperatura piacevolmente tiepida. Lombrellone e Marili sono qua fuori, lei mi chiede speranzosa se ho le chiavi della macchina (è lì da parecchie ore con i vestiti inzuppati) e ci dirigiamo al posteggio per cambiarci. L’orologio dice che sono le 20,20. La tua ha un paio di centimetri di fango, io sono bagnata fino alla vita. Almeno posso usare i pantaloni bagnati per “lavarmi” la faccia. Arrivano Nina, Lombrellone e Marco (che ha magnanimamente disarmato), diamo fondo ai panini e al cibo che erano rimasti, Mr. V cerca di ingozzarci di arachidi tappandoci il naso, Marili offre il vino che si è portata. Dopo una mezz’ora in cui ci siamo rifocillati e rivestiti, ci mettiamo in macchina dopo una giornata in grotta durata circa 10 ore.
E’ stato pesante, fangoso, bagnato ma meraviglioso ed emozionante. Monte Conca, è sempre un piacere venire a trovarti.


Notizia di: Marziemon
Foto di: Marco.
Partecipanti: Marziemon, Nina, Mr.V., Lombrellone, Marili e Fulippo












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